Fondazione Montanelli Bassi
 
26 marzo 2024

Prezzolini, Montanelli e il pensiero conservatore


  
Marcello Veneziani ci offre un'interessante sguardo sui Indro Montanelli e Giuseppe Prezzolini in concomitanza con l'uscita dell'ultimo volume di Giancarlo e Alberto Mazzuca, Le due voci



 

Davvero Giuseppe Prezzolini e Indro Montanelli sono stati l’espressione suprema del pensiero conservatore e della cultura di destra in Italia? E’ la tesi che anima l’intrigante libro a loro dedicato dai fratelli Giancarlo e Alberto Mazzuca, Le due voci, uscito l’altro giorno da Baldini&Castoldi. Il filo conduttore tra i due scrittori fiorentini è individuato ne La Voce, che Prezzolini fondò nel 1908 e fu alle origini dell’interventismo della cultura in Italia, l’idealismo militante e la serra calda del fascismo e dell’antifascismo. E trent’anni fa Montanelli rifondò la Voce nella sua ultima, breve avventura da direttore ultra-ottuagenario, dopo la rottura con Berlusconi e l’uscita dal Giornale da lui fondato. Montanelli nei suoi ultimi anni si professò allievo di Prezzolini ma non invitò mai il suo Maestro a scrivere per il suo Giornale. Era il tempo in cui Prezzolini scriveva per il Borghese e pubblicava con la Destra il manifesto dei conservatori: meglio evitare…
 
Che Prezzolini e Montanelli siano stati due conservatori è vero, ma con alcune varianti ed eresie. Prezzolini contribuì a far nascere in Italia un pensiero audace, rivoluzionario e fascista, bellicista e nazionalista; da giovane fu tutt’altro che conservatore, anzi aveva in spregio la vecchia Italietta. Versò da bere a molti spiriti agitati ma lui restò sobrio, astemio, anzi apota, come disse poi a Gobetti. 
 
Montanelli fu da giovane fascista rivoluzionario, ribelle, seguace di Berto Ricci, e poi ondivago negli anni. Solo da vecchi ambedue si confessarono apertamente conservatori. Chi provò in Italia a fondare un partito conservatore fu Leo Longanesi col suo Borghese, ma non vi riuscì. Il mondo conservatore fu assorbito dalla Dc di De Gasperi. Così come il mondo progressista fu assorbito dall’altra parrocchia secolarizzata, il Pci. 
 
Non a caso, pure Montanelli, prima fascista, poi incline verso i liberali e i repubblicani, alla fine esortò a turarsi il naso e votare Dc: in quel ventre potevano trovare rifugio i suoi lettori nel nome dell’anticomunismo e dell’atlantismo. Prezzolini restò impolitico, mai pensò che il suo spirito conservatore potesse tradursi in un movimento politico. Il loro conservatorismo restò una civetteria senile, un’inclinazione singola o di élite. 
 
Entrambi furono conservatori sul piano pratico, non di pensiero, e individualisti, profondamente laici e scettici, borghesi, refrattari all’idea di tradizione, di popolo, di identità, che restano i cardini di ogni pensiero conservatore. In Montanelli la tradizione si fermava al Risorgimento, in Prezzolini saltava fino a Machiavelli e Guicciardini, ma in entrambi l’arcitaliano lasciava il posto all’antitaliano, al critico verso l’Italia e gli italiani, divisi da Prezzolini in furbi e fessi. 
 
In realtà, al di là di chi vorrebbe assorbire il conservatorismo nel liberalismo, lo spirito conservatore acquista forza e consenso su tre cardini: il senso religioso, o senso del sacro e del divino; il comune sentire popolare e nazionale, che si condensa in amor di patria e civiltà; e l’amore per la famiglia e per i legami naturali e tradizionali. Non c’è vero conservatore che non declini a suo modo il trinomio Dio, patria e famiglia. E Prezzolini come Montanelli, incorreggibili individualisti, anticlericali e non credenti, erano refrattari ai tre principi e alla loro correlazione (salvo un po’ d’amor patrio). In loro del conservatore restava il realismo e una netta diffidenza verso il nuovo, il progresso e le rivoluzioni. Se vogliamo parlare di pensiero conservatore i riferimenti classici più alti sono Vico, Burke e Chateaubriand. Montanelli non fu un pensatore, e Prezzolini non si sarebbe mai definito tale; entrambi avrebbero pure rifiutato l’epiteto di intellettuali.
 
A proposito di Dio, patria e famiglia, contro cui è stato di recente rinnovato l’anatema, in reazione alla vittoria della Meloni e del centro-destra, ne riassunse bene i pregiudizi contrari l’astrofisica Margherita Hack: “Il trilogismo Dio-Patria-Famiglia non mi sta bene. Dico no a quel Dio usato come cemento nazionale, a quella patria usata spesso per distruggere altre patrie, a quella famiglia chiusa nel proprio egoismo di sangue. Non mi riconosco tra quei cittadini che vanno in chiese senza fede, che esaltano la famiglia senza amore, che osannano la patria senza senso civico”. Giusto, così non stanno bene neanche a noi. Ma perché dobbiamo giudicare tre principi, che sono stati il cardine di ogni civiltà, attraverso le loro degenerazioni? La Hack e tutti gli altri che la pensano così non si rendono conto che lo stesso ragionamento vale per il trinomio Libertà-Uguaglianza-Fratellanza. In sé sono rispettabili principi, ma insieme hanno prodotto il Terrore, i genocidi, la ghigliottina, l’odio giacobino e poi comunista per l’esistente, per la tradizione, per la religione, per la patria e per la famiglia. E da ultimo sono alle origini dell’ideologia woke, del politically correct e della cancel culture. Di ognuno di quei tre principi conosciamo le devastanti degenerazioni sul piano storico, politico, ideologico. 
 
Il conservatore è un realista, e quando si richiama a Dio, alla patria e alla famiglia non pensa di voler sfasciare il mondo col fanatismo religioso, lo sciovinismo xenofobo e il familismo antisociale. Lascia a ciascuno la scelta di fede, ma reputa la religione come un fondamento di coesione per una tradizione e una civiltà. Reputa l’amor patrio come l’amore per la propria terra, i morti, la madrelingua e la cultura, le eredità ricevute e da trasmettere, e così la famiglia e in generale i legami comunitari. Il conservatore difende la natura, a partire dalla natura umana, con le sue imperfezioni. Ama la realtà, detesta le illusioni.
 
Ammiro da una vita Prezzolini e Montanelli; il primo per la sua opera, il suo ruolo nella cultura la sua libertà dal fascismo e dall’antifascismo e per alcuni suoi libri senili, come Dio é un rischio, Cristo e/o Machiavelli. Amo la sua prosa asciutta, antiretorica, il suo realismo disincantato. E amo lo stile di Montanelli, la sua prosa e i suoi ritratti e lo considero ancora il Principe dei giornalisti. Ma sono cauto a identificarli col “pensiero conservatore” e “la cultura di destra”. Sono convinto che pure loro, dandomi del bischero, mi darebbero ragione.  

Marcello Veneziani, La Verità – 22 marzo 2024 (qui il link all'articolo originale)

  •  

 




     

 
© 2009-2024 - Montanelli Montanelli Bassi - Codice fiscale 91003700480