Ecco come si concludeva un articolo di Montanelli del 1986, che prendeva di mira l’esasperato culto del successo personale diffuso a metà degli anni Ottanta.
[…] Perché diciamoci la verità. Che al successo sia restituito il successo, ci va bene. Pur non essendo affatto convinti che esso sia il segno della Grazia, ci rifiutiamo di considerarlo un segno della disgrazia, e se proprio ci mettono alla scelta fra Calvino e La Pira, noi stiamo con Calvino. Nutriamo il più grande rispetto, pur condito di qualche riserva, per gli Agnelli, i Pirelli, i De Benedetti, gli Schimberni, i Berlusconi, i Romiti, gli Iacocca. […] Ma il vedercene ogni giorno aggrediti dalle copertine dei rotocalchi e sentirceli continuamente proporre e riproporre come gli unici esempi da seguire e modelli da imitare […], quasi che, a non diventare dei loro, ci si debba considerare falliti, non rischia soltanto di farceli prendere in uggia. Ci fa anche temere qualche crisi di rigetto o un “riflusso” a rovescio. Nella nostra vita abbiamo avuto il tempo di vedere tutto e il contrario di tutto. Vorremmo che ci fosse risparmiato almeno il contrario del contrario.
Indro Montanelli, I nuovi maggiorati, Il Giornale, 27 agosto 1986, anche in I. Montanelli, Il testimone, Longanesi, 1992.