Beninteso: ciascuno è libero di criticare Indro Montanelli, ma quando, come in questo caso, emerge un’acredine che sprizza da tutti i pori è difficile pensare che ci troviamo di fronte a “un raro esempio di competenza storica e di indipendenza di giudizio” come afferma due giorni dopo Tino Oldani sulla stessa testata in una sorta di recensione della recensione, un genere nuovo che mancava nel giornalismo italiano.
Ma veniamo alla Gana Cavallo specialista nella “demitizzazione” di Montanelli, un lavoro che certamente le propizierà qualche successo dato lo spessore del personaggio preso di mira. L’autrice divide i biografi di Montanelli in buoni e cattivi. I cattivi sono quelli che esercitano una sorta di culto del “Santo” – o del “Nume”, come ironizza l’imparziale signora – coloro che si attengono alla “vulgata” depositata dal giornalista, impegnato a costruirsi un monumento “indorando” – come dice lei – la propria biografia. Nella schiera dei reietti sono invece relegati Marcello Staglieno, Tiziana Abate (colpevole di aver scritto una biografia attenendosi alle parole di Indro, la cui testimonianza è pregiudizialmente rigettata), Marco Travaglio, che ha la grave colpa di occuparsi solo dell’ultimo Montanelli dimenticando i suoi peccati originali, e Paolo Granzotto. Tra i buoni sono posti Gerbi e Liucci, autori di un’ampia e certamente ben documentata biografia montanelliana, mentre il posto più alto nel Paradiso della Gana Cavallo spetta a Renata Broggini, che qualche anno fa, con il libro Passaggio in Svizzera. L’anno nascosto di Indro Montanelli cercò ostinatamente le prove che Indro era stato infiltrato tra gli esuli antifascisti in Svizzera per fare la spia per i Nazifascisti, ma che alla fine dovette arrendersi riconoscendo che “… Di certo [Montanelli] in Svizzera non ha fatto la spia a favore dei nazisti”, ma tenne un comunque comportamento per molti versi riprovevole (in pratica avrebbe passato tutto il tempo dell’esilio a costruirsi una biografia presentabile in vista del suo rimpatrio).
In questa sede non intendiamo tornare sull’opera della Broggini, che meriterebbe un’analisi accurata, ma ci limiteremo a riprendere alcune accuse da lei formulate e riprese dalla Gana Cavallo e dal suo postillatore Tino Oldani dando la parola allo stesso Montanelli attraverso alcuni documenti.
Cominciamo con l’uso dei documenti da parte di questo “raro esempio di competenza storica e di indipendenza di giudizio”. La Gana Cavallo ci ricorda che Montanelli rimase sostanzialmente fascista ben più a lungo di quanto egli affermava, cioè ben dopo il 1937, quando – secondo il racconto di Indro – egli era stato espulso dal Partito Fascista per aver pubblicato sul Messaggero il famoso articolo sulla battaglia di Santander che gli costò anche la sospensione (temporanea) dall’albo dei giornalisti. Per procrastinare la fedeltà di Montanelli al Duce, l’autrice cita il documento riportato da Gerbi e Liucci (Lo Stregone p. 148) che dovrebbe sbugiardare Montanelli, in quanto in una nota dell’Ovra del 1940 egli risulta “iscritto al PnF dal 21/4/1932”. Ma il documento riporta solo la data di iscrizione e non dice affatto che Montanelli era ancora iscritto al Partito a quella data, anzi si conclude con una nota che l’autrice si guarda bene dal citare in quanto qualifica “… il Montanelli come individuo francofilo e ostile all’amicizia italo-germanica, pronto alla facile critica e come uno dei tanti ‘intellettuali’ di avanguardia che – coscienti o no, in buona o mala fede – si impancano a critici del Regime e finiscono per fare dell’antifascismo spesso accanito e pericoloso”. E dimentica che Gerbi e Liucci – evocati tra i buoni biografi – nella cronologia in appendice al loro volume, alla data 1937, scrivono che dopo la pubblicazione del famigerato articolo sulla battaglia di Santander Montanelli “… è richiamato in patria, perché un suo pezzo apparso sul Messaggero ha irritato i vertici militari e diplomatici italiani. Gli vengono ritirate le tessere del Partito e quella dell’iscrizione all’Albo dei giornalisti (quest’ultima subito restituita, l’altra mai più da lui richiesta)”. L’autrice cerca anche di dimostrare che in fondo Montanelli era rimasto gradito al Regime, ma su questo è costretta a ricorrere a formule dubitative, ai soliti “ci si potrebbe domandare” … “pareva che” … “sembra”, assai utilizzati anche nella biografia della Broggini, sempre, ovviamente, a senso unico, cioè sempre e soltanto nella direzione di aggiungere discredito alla figura del giornalista. Non si capisce, a questo proposito, perché, se Indro nel 1938 andava ancora tanto d’amore e d’accordo con il Regime, fosse stato costretto nel settembre del 1937 ad abbandonare il giornalismo in Italia e andare a “purgarsi” in Estonia dove sarebbe rimasto fino all’estate 1938 (suggeriamo alla Gana Cavallo l’ipotesi che fosse andato là per fare la spia del Regime Fascista intenzionato a impadronirsi dello stato baltico).
Su questo punto pensiamo meriti riproporre alcune righe di una lettera scritta da Montanelli nel carcere di San Vittore e che Gaetano Greco Naccarato avrebbe dovuto consegnare Piero Parini, allora prefetto di Milano, per difendersi dall’accusa di “tradimento”. E’ da sottolineare l’attendibilità di questo documento perché rivolgendosi dal carcere a un esponente del Regime, il prigioniero avrebbe avuto tutto l’interesse a sfumare il proprio antifascismo, che invece viene apertamente rivendicato, sia pure come tappa conclusiva di un percorso graduale iniziato appunto nel 1938. La lettera, che per prudenza non fu mai consegnata al Parini, fa parte del Fondo Greco Naccarato depositato presso la Fondazione Montanelli Bassi e fu pubblicata alcuni anni fa sul Corriere della Sera.
Eccellenza,
non è per chiederle aiuto che le scrivo, ma solo per chiarire un equivoco che mi pesa più di qualunque accusa. La prego perciò di leggere queste righe, anche se illegalmente trasmesse. L’equivoco si riferisce al mio cosiddetto “tradimento” … Io tradii nel 1938. Fu in quell’anno che io, spontaneamente, rinunziai alla tessera, alla qualifica e al giuramento di fascista…
… Resistei in seguito alle pressioni di Borelli di farmi riprendere la tessera, e redattore diventai su sua personale responsabilità. Sono rimasto non fascista sino al ’40, quando diventai categoricamente antifascista. Cosa di cui non feci mistero nemmeno in sede ufficiale…
… Al quale Regime che cosa dovevo io? Nulla. Non una giurata fedeltà, poiché mi ero spontaneamente ritirato dal giuramento. Non personali vantaggi, perché credo di essere l’unico giornalista italiano che non ha mai ricevuto un soldo dal Ministero (Mezzasoma e i suoi uffici possano, magari a denti stretti, testimoniare), nemmeno sotto forma di premio letterario. Non una situazione politica, perché non ne ho mai avuto una, nemmeno modestissima. E allora, chi e che cosa ho tradito?
… Non me ne pento, e tornerei a farlo domani, anche dopo le sofferenze subite in questi ultimi cinque mesi. Forse Lei ignora, Eccellenza, che cosa significa sapere la propria moglie in galera nelle mani di una polizia che non si stancava di ripeterle: “Suo marito sarà fucilato domani. Abbiamo arrestato a Innsbruck suo padre e sua madre. Suo padre è morente per lo choc subito”. Perché questo è stato fatto a mia moglie. Forse Lei ignora cosa significa sapere la propria casa razziata e ora abitata dal proprio peggior nemico (il sig. I. Chaeffer). Forse Lei ignora cosa significa sapere il proprio Babbo e la propria Mamma pazzi di angoscia. Sentirsi ripetere “La Sua fucilazione è inevitabile”, sapersi innocente e non potersi difendere. E agonizzare per mesi nel reparto dei condannati a morte, fra gente pazza di terrore. Tutto questo, per cosa? Per sentirmi dire ieri, nel quinto ed ultimo interrogatorio: “Riconosciamo che Lei non è mai stato un bandito né una spia. Però Lei è un antifascista e un antitedesco”. Sicuro che lo sono. E se non lo fossi stato, lo sarei diventato dopo questa prova.”
E’ un documento importante perché delinea il percorso di Montanelli dall’abbandono del Partito fino alla scelta antifascista; inoltre ci informa sulla sua convinzione, mentre si trovava in prigione, che la condanna a morte nei suoi confronti fosse stata decisa. Ci fosse stato o meno un verdetto teatralmente dichiarato, o si trattasse di minacce, voci insistenti che circolavano in quel carcere, dove peraltro i prigionieri venivano sovente prelevati per essere accompagnati davanti al plotone di esecuzione, certo è che Indro si era fatta la convinzione di essere arrivato agli ultimi dei suoi giorni, come risulta anche dal tenore di altri biglietti scritti dal carcere e conservati nell’archivio della Fondazione Montanelli Bassi. E questo valga anche per la “non condanna” di cui parla la Gana Cavallo riprendendo l’interpretazione della Broggini. E del resto quando si dice che Indro per “salvarsi la pelle” si accordò con il “noto doppiogiochista” Luca Osteria per riuscire ad evadere dal carcere, si ammette di fatto che la pelle era a rischio.
E così siamo giunti al capitolo della discussa evasione. La Gana Cavallo e il suo apostolo Oldani ci presentano come formidabile scoperta della Broggini il fatto che Indro era riuscito a lasciare il carcere grazie agli accordi con Luca Osteria (il così detto “dottor Ugo”) e con il capo della Gestapo di Milano, il tedesco Theodor Saevecke. Un accordo che svelerebbe come Montanelli non fosse affatto fuggito, ma semplicemente uscito in seguito ad accordi (si saprà poi che ci fu anche l’intervento del cardinale Schuster e probabilmente anche il pagamento di somme in denaro per favorire il rilascio). Peccato che la signora e il suo seguace, tutti smaniosi di smascherare il bugiardo Montanelli, ignorassero le sue dichiarazioni comparse in un’intervista rilasciata nel 2000 in appendice a una nuova edizione de “Il Generale della Rovere” (BUR, 2001):
“Scappai grazie a un ordine di trasferimento al carcere di Verona: un ordine fasullo, architettato dal famoso “dottor Ugo”, che si chiamava in realtà Luca Osteria, un uomo che aveva protetto Parri, che aveva protetto Sogno e che protesse anche me. Lui organizzò tutto. Ma, qualche anno dopo, ho saputo che il comandante delle SS, il capitano Sarwecke, era d’accordo con Ostéria nel farmi evadere”.
Allora, se Montanelli ha ammesso tutto ciò, che senso hanno i titoli da pseudo scoop come quello di Italia Oggi: “Montanelli diceva di aver fatto il partigiano, ma a farlo fuggire da San Vittore furono un agente Ovra e una SS”? Cosa c’è di nuovo? Molto rumore per nulla.
Quanto al fatto, evidentemente ritenuto riprovevole, che Indro si fosse fatto aiutare nell’evasione da Luca Osteria, “… il più abile doppiogiochista della Repubblica Sociale”, secondo Oldani, bisognerebbe ricordare che il Dottor Ugo era in effetti talmente abile da riuscire a guadagnarsi nel dopoguerra la fiducia di Ferruccio Parri (uomo, spero, insospettabile anche agli occhi dei suddetti critici), che gli affidò alcuni importanti incarichi dopo essere diventato capo del governo. Invece Indro non avrebbe dovuto fidarsi di lui restando in prigione per farsi fucilare e far così un piacere alla Broggini & C.
Dunque di cosa parliamo? quali sarebbero le sensazionali scoperte della Broggini e i disvelamenti della Gana Cavallo? Il fatto che Montanelli non era stato in realtà partigiano? Ricordo un’intervista televisiva in cui Indro dichiarò di non essere mai stato partigiano, ma, come ebbe a dire in più occasioni, di aver cercato di raggiungere le formazioni badogliane e di non esserci riuscito perché fu catturato. Se poi fosse stato amico di Filippo Beltrami e da lui chiamato a far parte del suo gruppo partigiano oppure solo “accettato” come scrivano o dattilografo (come affermò la vedova di Beltrami), ci sembra davvero irrilevante.
Ci fermiamo a questo punto solo con un’ultima osservazione. Montanelli ha detto più volte di non gradire i monumenti, perché diventano quasi sempre bersaglio dello sterco dei piccioni. Dobbiamo concludere che anche in questo caso era stato un buon profeta.